Se esiste una strada “americana” nella nostra provincia, quella è senz’altro la sp 343, che si stacca dal limite nord della città, e va a sbattere dritta dritta sull’alveo del Po. Tutti la chiamiamo Asolana -a volerla ostinatamente proseguire, oltre il ponte, arriva fino ad Asola- ed è americana perchè, fatte le dovute proporzioni, sembra [...]
L’Arte dell’Incontro
“La vita, amico, è l’arte dell’incontro, malgrado ci siano
tanti disaccordi nella vita. C’è sempre per te una donna
in attesa, gli occhi pieni d’amore, le mani piene di
perdono: metti un poco d’amore nella tua vita, come nel
tuo samba ”
Vinicius De Moraes, Sergio Bardotti
I primi arrivano alla spicciolata, mentre il cielo, sopra Parma, è un rebus. Nuvole basse si accavallano, si avvicinano minacciose, poi svaniscono, mandando in tilt il senno di meteorologi e santoni divinatori.
E’ il 22 aprile. È questo, il giorno convenuto.
I primi, allora, arrivano in piazzale Santa Croce già verso le sei di sera. Hanno bagagli a mano, aria tesa, fra i capelli. Roba leggera, comunque, da una sera fuori casa, e via.
Uno sguardo al cielo, ma solo un cenno. Che siano i meteorologi e i santoni, ad occuparsi delle nuvole.
Perchè noi, noi quaggiù, rasoterra, ci occupiamo di musica.
Arriva Luciano Barbieri, il sacerdote supremo. Poi Roberto Grasso, Magno Notaro, primo infermiere della Infermeria del Tenco.
Di lì a poco, Ernesto Livorsi, buttafuori e buttadentro dell’Infermeria, e subito dopo Ezio Poli, dell’Isola Ritrovata, da sempre collaboratore dell’Infermeria.
Tutti a guardare il cielo, e a riportare immediatamente lo sguardo a terra. Perchè l’Infermeria del Club Tenco si occupa di vino, ma soprattutto di musica.
E la musica parte da terra.
Come il vino.
In quale modo e quando, musica e vino, arrivino al cielo, poco importa.
L’importante è partire.
Da terra.
E si parte allora.
All’imbrunire, sotto un cielo che solo un pittore fiammingo potrebbe descrivere, iniziano le danze.
Sul Bastione di Porta Santa Croce, sede del Circolo Giovane Italia, si servono gli antipasti, a misura emiliana: salumi misti e Malvasia.
Ma, soprattutto, musica.
Francesco Pelosi ed Emanuele Nidi palleggiano i rispettivi estri, talvolta mischiandoli, talvolta elevandoli in assoli. Francesco con la sua ispirata spiritualità, Emanuele con la sua delicata e tenace militanza.
Nel piazzaletto antistante il locale anche le nuvole, da lassù, si fermano, ad ascoltare le loro canzoni.
No, non c’è più pericolo.
E la luna si prepara a dominare la notte.
La sera si sgombra, per far posto al tramonto.
All’interno, nella sala grande, viene servita la cena in onore di questa memorabile occasione: la terza cena dell’Infermeria del Club Tenco.
Mentre si spandono profumi di emilianità a rotta di collo (tortelli di erbetta, risotto agli asparagi, punta al forno con patate e vini dei Colli) fa il suo ingresso in sala l’ospite d’eccezione, con al suo seguito una sorpresa graditissima: Flaco Biondini ha portato con sé Antonio Marangolo, amico di una vita, grandissimo sassofonista e raffinatissimo scrittore. Arrivano direttamente dallo studio di registrazione dove stanno preparando il primo album de “I Musici”, vale a dire i musicisti di Francesco Guccini, decisi più che mai a portare avanti la meravigliosa eredità del pavanese, che ha ormai tirato i remi in barca.
Ma il momento è arrivato.
Il momento dal Salmanazar.
La Signora Bottiglia, fregiata dal nome di un antico Re Assiro, Madama indiscussa del Rossese di Dolceacqua, colmata di nettare nel 2006 da Giò Batta Mandino Cane, sigillata con ceralacca, viene aperta da Luciano, che, ora più che mai, veste i panni del Sacerdote Supremo. Il Magno Notaro ed Ernesto Livorsi fanno da assistenti al rito.
Nove litri di vino. Dodici bottiglie, per la precisione.
E’ lo stesso che viene servito nell’Infermeria durante le serate del Premio Tenco.
Scaraffato, quel vino diventa musica che scende nelle gole dei presenti.
Un regalo, un magnifico regalo, che suggella l’amicizia fra Infermeria e Rigoletto Records.
Arrivano le torte, il caffè, gli amari.
Nella sala concerti comincia ad affluire pubblico.
Diego Baruffini imbraccia la sua chitarra e guadagna il palco. Istrionico, tagliente, con pennellate di leggerezza calviniana parla di piccole cose quotidiane, rendendo loro la giusta, straordinaria importanza.
Ora la sala è piena.
Diego passa il testimone a Giovanna Dazzi, che si siede sullo sgabello, sotto il cono di luce, e abbraccia il suo strumento, accarezzandolo. Ma, soprattutto, accarezza il microfono, con la sua voce. C’è un silenzio irreale, nell’aria. La dolcezza delle sue canzoni è fortissima.
Ecco.
Giovanna Dazzi lascia il palco.
Si fanno avanti Chiara Jerì e Cristiano Angelini.
Li avevamo già conosciuti a Fezzano, a fine gennaio, durante un pranzo-concerto, divenuto indimenticabile anche per la loro musica. Li ritroviamo qui, accompagnati da Marco Spiccio, funambolico tastierista, folletto degli ottantotto tasti e Matteo Nahum, chitarrista estroso e ispirato.
Si danno il cambio, ma si percepisce il loro incastro perfetto.
Chiara e Cristiano sono due artisti magnetici.
Al termine, Ugo Cattabiani, il Presidente della Rigoletto Records, agguanta il microfono.
E’ il momento della riconoscenza.
Ugo consegna il primo attestato (di coraggio) a Ernesto Livorsi che riporta la seguente motivazione
“… buttafuori e buttadentro
del cenacolo più ambito,
nella speranza di non essere respinti
bensì agguantati
sulla soglia
del ristoro per assetati”
Poi è il turno di Ezio Poli, cui spetta un sacrosanto attestato di gratitudine, con la seguente motivazione
“… per aver coltivato il sogno
di un’isola
di musica senza confini
in cui ritrovare, tra goliardia e vino, il senso di essere artisti
o semplicemente amici”.
E, infine, è il turno di Flaco. Il fiore all’occhiello della serata. A lui va l’attestato di Socio Onorario della Rigoletto Records.
“per il servizio reso
alla canzone d’autore
attraverso l’arte inimitabile
di trasformare ogni nota in emozione”
Juan Carlos Biondini, musicista a tutto tondo, artista, autore delle melodie e degli arrangiamenti più raffinati delle canzoni di Francesco Guccini, si pone sotto i riflettori della sala concerto della Giovane Italia.
Imbraccia la sua Taylor, ed incanta.
Ispirato, malinconico, spiritoso, perfettamente a suo agio, dà sfoggio di tutta l’arte maturata in anni di vita trasformata in musica.
Dopo tre canzoni eseguite da solo (fra cui una strepitosa Años, di Pablo Milanés) chiama sul palco Antonio Marangolo.
Ancora un incastro perfetto.
Luciano, le Capitaine Lucién, seduto al fianco del Salmanazar, guarda soddisfatto, primo fra tutti, il dipanarsi della magia.
La voce di Juan Carlos, la sua chitarra, il sassofono ossidato di Antonio Marangolo, si fondono e diventano un’unica cosa, viva, che rimbalza fra le mura, trafila dagli interstizi e si spande nella notte.
E la notte, fuori, è un mare di movimenti, lenti e placidi.
Assorbe la musica e diventa un tuttuno con il tempo.
Il tempo passato insieme ha suggellato ulteriormente l’amicizia fra Infermeria del Tenco e Rigoletto Records.
Ma anche il tempo dei metereologi e dei santoni si è fermato, ad ascoltare.
Si è appoggiato rasoterra, si.
Perchè la musica, quella vera, parte da terra.
E poi, senza confini, conquista la luna e l’infinito stellato, scansando le nubi, ed ogni altra diavoleria celeste.
PS: un ringraziamento speciale a Manuel Garibaldi e a Raffaele Rinaldi per le foto.
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